FURNITURE E DESIGN

 

Tutto inizia sempre da una sorta di empatia con un materiale, con una particolare tecnologia. Comincio quasi inconsapevolmente a interessarmi ad un semilavorato o a un processo e poco alla volta o al primo sguardo questo mi manifesta le sue potenzialità espressive. Perché è il materiale ed i modi attraverso i quali possiamo trasformarlo che ne definiscono la fisionomia. E non si pensi ad una sorta di funzionalismo ingenuo, bensì è proprio la convinzione che la materia abbia la SUA forma, anzi, le SUE forme ed è alla ricerca consapevole di queste che ci impegniamo nel progettare.

Poco dopo la laurea, mi occupavo di progettazione industriale in ambito universitario, è vi fu la partecipazione del nostro dipartimento ad una mostra convegno presso una istituzione fortemente collegata al modo (asfittico) della produzione.

Nella sua relazione al convegno, un responsabile comunicazione e marketing di una multinazionale dell’elettronica di consumo, ci spiegò quanto fosse all’avanguardia la sua azienda mostrandoci un “powerpoint” dove prototipi di televisori (all’epoca erano in verità ancora rotondetti) che avevano le fattezze e le orecchie di Topolino ed altre simili amenità erano “… studiate per venire incontro alle richieste del consumatore e per ricercare un rapporto più amichevole (seduttivo) con gli oggetti…”. L’I-Phone non esisteva ancora.

Il fatto che espressi la mia sincera indignazione per quella accozzaglia immonda di inutili boiate, segnalando che il nostro compito di progettisti per l’industria non fosse quello di indurre una progressiva atrofia neuronale nel consumatore, sperando che rimbecillisca prima di accorgersi di essere truffato, non fu preso affatto bene. Peggio ancora si accolse la mia proposta di rinunciare finalmente all’uso del termine consumatore per rendere obbligatorio per legge il termine UTILIZZATORE o utente al fine di introdurre ufficialmente la “moda” di progettare secondo le regole dell’utilizzo minimo di materie prime, con la logica della tendenza al “monomateriale”, possibilmente impiegando la maggior percentuale possibile di materia riciclabile e dedicandosi con infinita passione alla definizione del problema dell’interfaccia.

Quello che proprio offese tutti i convegnisti, nonché i convenuti, fu l’interrogativo che posi in merito a quale fine avessero fatto gli insegnamenti e l’esempio della scuola milanese degli anni settanta che ci aveva condotto a censurare severamente nelle scuole di design il progetto “a forma di…” e come si potesse motivare l’applicazione delle orecchie di Topolino ad un televisore se persino Mendini si era limitato alle ballerine per cavatappi e Sottsass non si era mai fatto suggestionare da nulla di meno nobile di una nuvola nelle sue indaginose e complesse volumetrie spaziali.

A Settembre di quell’anno 1995, alla ripresa dei corsi, io non c’ero più.

Ma qualcuno sicuramente avrà preso il mio posto!

 

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