IN SETTE SECONDI

Ho steso queste brevi note soprattutto perché, una volta deciso di rendere pubblico il mio lavoro, mi sono reso conto della necessità di una qualche esplicitazione del contenuto. Da utente di internet credo di avere preconizzato una difficoltà intrinseca nel mezzo alla fruizione di un contenuto che richiede qualcosa di più dei sette secondi che dedichiamo in media ad una pagina web.

Ho pensato allora di introdurre il contenuto prevalentemente iconico con delle considerazioni non didascaliche ma che potessero in qualche modo aiutare a cogliere idee, opinioni, obiettivi e aspirazioni che sono i fondamenti dell’attività che ha prodotto il materiale pubblicato qui, disegnando un profilo dell’autore che ciascuno potesse raffigurarsi con una personale chiave di lettura.

 

(DE) FORMAZIONE

Faccio l’architetto da 23 anni e pratico la progettazione da almeno 30 ed in questo lasso di tempo ho visto cambiare molti aspetti della professione e trasfigurarsi la figura stessa del professionista architetto. I motivi sono molteplici: di ordine legislativo, dovuti anche (ma non solo) alla omogeneizzazione della pratica professionale alle norme europee; di ordine contingente: se i miei dati non sono troppo approssimativi, l’Ordine della Provincia di Napoli cui sono iscritto conta circa quattro volte gli architetti di tutta la Gran Bretagna!

Sarebbe impossibile e sospetto eludere il problema del mercato del lavoro e del ruolo delle professioni persino in questa sede dove chi legge queste note lo fa principalmente per pura curiosità, ma è appena il caso di andare oltre la semplice constatazione che il rapporto tra “produzione” di figure professionali sia da parte dello Stato che di soggetti privati e la richiesta di prestazione professionale sia ormai assolutamente sperequativo. Non lo è, evidentemente per il settore della formazione (vero e proprio settore produttivo) che, non mostrando alcun segno di crisi, sembra anzi in continua espansione, grazie agli “aiuti statali” consistenti nel frazionamento e nella polverizzazione dei titoli (non esistono praticamente più lauree che possano garantire un accesso diretto alle professioni) e nella incessante introduzione di obblighi formativi e di aggiornamento che sovente anticipano inasprendo le normative europee.

Tutto questo dovrebbe garantire qualità del servizio reso al cittadino che si rivolge alle competenze professionali? Francamente sembra proprio che rinviare indefinitamente l’inserimento di soggetti sul già saturo mercato delle professioni dilatando insaziabilmente i costi del percorso formativo e spremere soldi ai professionisti con obbligatori quanto ipotetici corsi di formazione (per lo più acquistabili on-line con addebito su carta di credito) possa aumentare solo il fatturato per l’erario e per le aziende del settore della formazione.

ETICA E GENETICA

È quantomeno singolare che in un paese dove si investe nella scuola e nell’educazione meno che ovunque in Europa, vi sia tanto scrupolo nel controllo di professionalità destinate nella generalità dei casi a restare frustrate e inutilizzate. D’altronde salta all’occhio che tutto ciò non si riduce ad altro che un meccanismo perverso che impedisce alla maggior parte dei professionisti giovani e meno, iscritti ai rispettivi albi, di perfezionare quella che è la naturale e più efficace occasione di formazione: l’esperienza che si matura nello svolgimento dell’esercizio professionale.

Ma non è durante la formazione scolastica che un individuo costruisce tutti quei principi che sono alla base della vita e della convivenza civile e dunque scritti nel codice di deontologia di tutte le professioni e più ancora nel codice etico di ciascun cittadino? Per riuscire in questo è la scuola che dovrebbe potenziare l’azione educativa tesa alla formazione della coscienza sociale e alla indispensabile consapevolezza del rispetto delle regole democratiche civili, rivalutando l’indispensabilità degli insegnamenti curricolari, sempre più trascurati a favore dei cosiddetti “progetti”, utili solo a far entrare pochi più soldi nella busta paga di pochi docenti.

C’è poi la proliferazione delle regole e delle norme che governano la sicurezza dei cantieri e degli edifici, il contenimento delle emissioni, la valutazione della prestazione energetica degli edifici, la prevenzione dei rischi da incendio, l’igiene, l’accessibilità e quant’altro: tutti terreni di caccia spietata di un minimo reddito professionale che, ormai da alcuni anni, stanno plasmando figure di architetti geneticamente modificati i quali, seppure lo sono, non faranno mai gli architetti.

 

COPIA E INCOLLA

Dicevo che molte sono le cose che sono cambiate. È cambiato il codice di deontologia professionale. Nelle metropolitane proliferano le locandine pubblicitarie (anche multimediali) di studi legali che incitano al contenzioso contro la Pubblica Amministrazione “senza anticipo e senza spese” o persino gratis (sebbene non specifichino che a pagare le spese sarà la Pubblica Amministrazione, ovvero noi).

Sempre più di frequente si incontrano medici o ingegneri che scambiano la mancanza della certezza del problema con la certezza della mancanza del problema, nella affannosa urgenza di abbassare i costi e i tempi di elaborazione per frenare il crollo dell’utile professionale.

Già, ma in tutto questo l’Architettura dove è finita? No, non mi riferivo alle grandi opere delle grandi menti, quelle che sfoggiano giornali e televisioni come si usa fare con bellezze femminili irraggiungibili e automobili che quasi nessuno potrà mai possedere, bensì al costruito (se si costruisse), all’intervento diffuso, quello che conferisce la qualità media percepita all’ambiente antropizzato, a quella sommatoria di atti progettuali di cui sono fatti i luoghi pubblici e privati dove si consumano le nostre esistenze. Quello standard medio che ci potrebbe salvare dal mediocre.

Siamo la cultura del “copia e incolla” e non certo per colpa o per causa del computer. La DIA, la CIA, la SCIA e qualunque altra comunicazione di attività edilizia possa essere definita da un simile acrostico è presentata telematicamente, in ossequio all’istanza della semplificazione procedurale, senza che si possa avere alcun confronto con i tecnici della pubblica amministrazione preposti alla tutela del territorio ed al controllo del rispetto delle regole, censurando quello che per me è sempre stato un momento di crescita tecnica e culturale: il confronto con le diverse posizioni e i diversi ruoli nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme e sulla definizione delle soluzioni progettuali.

Per inciso, nella istruttoria di una pratica on-line, gli allegati vanno redatti sulla base dei modelli da scaricare, poi vanno comunque stampati per essere firmati fisicamente, successivamente devono essere scansionati e allegati in formato PDF. All’anima della semplificazione! E alla faccia dell’abolizione del cartaceo!

 

PROFESSIONALITA’ – QUALITA’ = VELOCITA’

Ma non era forse la qualità che ci si prefiggeva di far emergere attraverso la cura della formazione e la meticolosa verifica del livello di professionalità?

Tutto invece, per poter abbattere i costi professionali e reggere il peso insostenibile della fiscalità, deve essere o quantomeno apparire economico, facile e veloce. Molto veloce. Troppo veloce.

Una mano determinante ce la mette anche la committenza, sia pubblica che privata. Le gare aggiudicate con ribassi del quaranta per cento e oltre sono ordinaria amministrazione e spesso vengono bandite sulla base di progettazioni sommarie e analisi economiche sottostimate per sudditanza alla incosciente incompetenza dei responsabili dei procedimenti, moltiplicando esponenzialmente il rischio di contenzioso. Cantierizzazioni le cui progettazioni si sono dovute (o volute) svolgere in pochi giorni e aventi durate stimate pochi mesi che sono destinate a durare anni con una inestimabile dilatazione dei costi e con risultati imprevedibili. Vince sempre su tutto la pratica furbesca sostenuta dalla convinzione di trovare Il prodotto migliore al minor prezzo che è di per se una contraddizione in termini. Il prodotto migliore non ha mai il minor prezzo.

 

LA STRUTTURA DELL’EDIFICIO O L’EDIFICIO DELLA STRUTTURA?

Ma perché un professionista dovrebbe abbattere i costi professionali? Ma ovviamente perché abbiamo conquistato trasparenza e convenienza per l’utenza dei servizi professionali, abolendo i minimi tariffari, ponendo i professionisti sul piano della libera concorrenza economica (dunque equiparandoli al commercio) e trasformando la committenza in clientela! Tutto bene, se non fosse che sembra di mandare la “povera” committenza in costume da otaria a fare snorkeling tra gli squali della barriera corallina! Ma se si ammette una tale kafkiana metamorfosi della figura professionale non si può perseverare nella pretesa di accentrare sull’asseverazione del professionista ogni responsabilità del suo committente; pretendere che il professionista vincoli il proprio operato e le decisioni della committenza alle regole dello Stato assumendosene tuttavia personalmente e in solido ogni responsabilità civile e penale; esigere che eserciti i poteri di delega dello Stato nel controllo ed eventualmente nella denuncia degli eventuali illeciti che nell’esercizio del proprio mandato dovesse rilevare da parte di committenza, imprese o altri soggetti attivi nella propria sfera di operatività.

Se infatti il professionista, architetto e non, deve esercitare sul piano della concorrenza economica e non più su base fiduciaria come espressamente previsto dalla Costituzione, non può più essere soggetto alle leggi etiche che ne conformano l’operato alle norme di deontologia e ne fanno un soggetto garante per delega delle prerogative dello Stato. Egli deve essere soggetto unicamente alle regole del mercato e il mercato è volto unicamente alla massimizzazione del profitto. Il mercato non è etico.

Ho sempre avuto un rapporto di proficua collaborazione con gli ingegneri con i quali mi sono spesso affiancato traendo grande beneficio in fase progettuale dall’azione multi disciplinare e coordinata nella individuazione di soluzioni concertate e compatibili.

Mi è capitato recentemente di vedere profondamente e autonomamente modificato il senso architettonico di un progetto a causa della impossibilità dello strutturista, peraltro persona esperta e competente, di individuare modelli di calcolo delle sollecitazioni sismiche per la struttura prevista che fossero già predisposti e pronti all’uso nel noto e diffuso software di progettazione strutturale. Così si rende necessario modificare il progetto perché sia compatibile con il programma di calcolo che, una volta caricato lo schema (purché semplice e prevedibile) in pochi minuti valuta decine di configurazioni di carico. Mantenere la conformità al progetto significherebbe giorni di elaborazione di modelli non automatizzabili con un costo non concorrenziale e improponibile al committente nel nuovo regime di concorrenza che richiede la minimizzazione dei costi progettuali.

 

MATERIA OSCURA

Recentemente un collega e partner, nel porre in essere iniziative essenzialmente di socializzazione delle perdite e individualizzazione degli utili, mi ha espresso i sensi di un insanabile disaccordo rispetto a una linea di condotta professionale condivisa da molti anni, definendola “di intransigenza” e rivendicando il diritto a “fare cose di merda, una merda” (riporto testualmente nella convinzione che il termine, lessicalmente ammesso e privo di intento turpiloquiale non esprima valenze offensive). Ho riflettuto a lungo sulla questione e sui successivi accadimenti e pur non potendo escludere che nel collega fosse esplosa una improvvisa e appassionata pulsione coprofila verso le note opere di Anish Kapoor, per altro perfettamente inerenti il tema, ho concluso che il significato dell’esternazione fosse “fare cose mediocri senza assumere responsabilità”.

Devo ammette che per quanto inerente la prima parte della locuzione così come l’ho esplicitata, la ritengo incomprensibile. Infatti non so cosa sia, nell’ambito professionale ne in quello personale, un impegno mediocre. Qualunque impegno professionale per piccolo di dimensione o esiguo nella gratifica economica esige eguale abnegazione e rispetto per la committenza e per la stessa propria figura professionale.

Per la seconda parte, mi ritengo assolutamente incompetente.

Ma allora, considerato tutto questo, perché fare l’architetto? Ma per l’Architettura ovviamente!

 

Paolo Lattuada